Sant’Agata è la santa patrona della città di Catania, alla quale sono dedicate tre giornate di religione e folklore.

Agata nacque a Catania, secondo la tradizione, nei primi decenni del III secolo, periodo molto particolare per l’Impero Romano perché soggetto alla persecuzioni contro i cristiani, cominciate con Nerone verso la metà del I secolo d.C.

L’editto dell’imperatore Settimio Severo nel III secolo, stabilì che i cristiani potevano essere prima denunciati alle autorità e poi invitati ad abiurare in pubblico la loro nuova fede: se questi avessero accettato di ritornare al paganesimo, avrebbero ricevuto il libellum, che confermava la loro appartenenza alla religione pagana; nel caso contrario, sarebbero stati torturati e uccisi.

Nel 249, con l’imperatore Decio, la situazione diventò ancora più aggressiva: considerata la diffusione del cristianesimo, tutti i credenti vennero ricercati dalle autorità locali, arrestati, torturati e poi uccisi.

Catania, così come tutte le città dell’impero, era al centro di questo trattamento: all’interno della sua organizzazione vi era governatore, Quinziano, che rappresentava il potere decentrato dell’impero stesso. Egli era un uomo superbo e prepotente e circondato da schiavi e guardie.

Secondo le fonti, più precisamente la Passio Sanctae Agathae, Agata apparteneva ad una nobile famiglia catanese, figlia di Rao e Apolla, proprietari terrieri ma soprattutto cristiani. Fu la vicinanza con la religione che segnò il destino della giovane Agata.

Fin da piccola sentì di voler appartenere a Cristo cosicché, verso i 15 anni, volle consacrarsi a Dio che però, nei primi tempi del cristianesimo, la presenza di giovani veniva vista come un’irruzione del divino.

La decisione di Agata fu accolta dal vescovo di Catania che durante una cerimonia ufficiale, la velatio, le impose il velo rosso portato dalle vergini consacrate, il flammeum.

Quinziano, colui che durante la vita di Agata era proconsole della città, decise di accusarla di vilipendio: l’ordine fu quello di arrestarla e farla uccidere ma, quando la vide, se ne invaghì a tal punto che tentò con le sue armi di seduzione di persuaderla ma la fermezza di Agata vinse.

Dopo innumerevoli tentativi, Quinziano decise di far torturare la povera ragazza: ad Agata vennero stirate le membra, fu lacerata con pettini di ferro, scottata con lamine infuocate ma la cosa che più colpisce è che, ad ogni tortura, lei diventava più forte; Quinziano, quindi, al culmine del furore ordinò di strapparle i seni e, proprio questo avvenimento, diventerà il segno distintivo del martirio, presente su moltissime opere.

Riportata sanguinante in cella, Agata soffrirà molto durante la notte e, nel sonno, le comparirà San Pietro che, accompagnato da un bambino con una lanterna, le risanerà le mammelle amputate durante la tortura.

Dopo quattro giorni, Agata verrà riportata al cospetto del proconsole che, vedendo i seni risanati, non crederà che il miracolo sia stato compiuto da Gesù; Quinziano, quindi, ordinerà che la giovane venga bruciata su un letto di carboni ardenti, con lamine arroventate e punte infuocate.

La tradizione riporta che le fiamme bruciarono tutto, eccetto il velo che oggi è una delle reliquie più preziose; proprio questo, sempre secondo la tradizione, fu portato più volte in processione durante le eruzioni dell’Etna.

Agata venne salvata dalle fiamme in seguito al tumulto dei cittadini: questi si ribellarono al suo supplizio che, secondo la tradizione, provocò un forte terremoto che scosse la città e vide crollare parte del Pretorio.

Agata quindi, ancora agonizzante, venne riportate in cella dove, però, morì qualche ora dopo.

Era il 251, l’anno che i catanesi associano alla morte della loro Santuzza.